Il caso Silicon Valley Bank
La Silicon Valley Bank, per Forbes fra le 20 maggiori banche americane nel 2023, è stata dichiarata fallita. Ripercorriamo le tappe: e se dietro il default ci fosse una manovra di mercato?
La notizia che giovedì ha fatto tremare i mercati finanziari, con particolare apprensione verso il settore bancario, è di quelle che riportano alla memoria la grande crisi del 2008: la Silicon Valley Bank (SVB), la più grande banca del mondo tech e fra le 20 maggiori istituzioni finanziarie americane (classifica Forbes 2023), è fallita. I regolatori californiani ne hanno annunciato la chiusura e la nomina della Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic) come curatore fallimentare.
La FDIC ha affermato che i depositanti assicurati di SVB avranno accesso ai loro fondi entro e non oltre lunedì mattina. I depositanti non assicurati riceveranno un certificato di amministrazione controllata per l'importo rimanente dei loro fondi non assicurati, ha affermato il regolatore, aggiungendo di non conoscere ancora l'importo. Nell'annunciare l'acquisizione, il Dipartimento per la protezione finanziaria e l'innovazione della California ha citato liquidità inadeguata e insolvenza.
Nel 1983 i fondatori della SVB, un banchiere della Wells Fargo, Bill Biggerstaff e Robert Medearis, un professore dell’università di Stanford, si mossero, leggenda racconta, per via di un’intuizione durante una partita di poker con l’obiettivo di cercare un modo per servire la comunità tecnologica imprenditoriale, che all'epoca non aveva accesso a finanziamenti e servizi bancari.
Nel 2013, in occasione del 30esimo anniversario dalla sua fondazione, il 17 ottobre 1983, SVB pubblicava questo video, riprendendo le parole dei suoi fondatori che hanno raccontato in quell’occasione il percorso che li ha portati a fondare la banca:
“Dalla sua fondazione, guidata dal primo CEO Roger Smith, la Silicon Valley Bank è cresciuta fino a servire migliaia di aziende di tutte le dimensioni e specialità e i loro investitori attraverso uffici in cinque Paesi e la sua divisione vinicola, uno dei maggiori finanziatori di aziende vinicole di qualità in Occidente”, sono le parole usate nella presentazione del video.
E’ anche molto interessante l’intervento dei fondatori di SVB nel 2014 a Mountain View, California (a questo link trovate la trascrizione completa)
Roger Smith, Bob Medearis e Bill Biggerstaff (1919–2010) si sono riuniti all'inizio degli anni '80 attorno all'idea di creare una banca commerciale che sarebbe stata progettata per raccogliere depositi e prestare denaro a società sostenute da venture capital per sostenere la loro crescita. La banca che hanno creato ha contribuito notevolmente alle opportunità di finanziamento per queste società. A sua volta, questo finanziamento ha contribuito a stimolare la notevole esplosione di nuove imprese di successo nella Silicon Valley. Roger e Bob raccontano la loro storia personale, nonché le lotte e i successi incontrati nei primi 10 anni di costruzione di questo straordinario istituto bancario.
In estrema sintesi, vi riporto le tappe principali dell’ascesa della SVB:
Nel 1986 SVB si è fusa con National InterCity Bancorp.
Nel 1988 è stata quotata al Nasdaq.
Nel 2002 è stata lanciata la SVB Securities.
Nel 2015 la banca ha avviato una joint venture con la Shanghai Pudong Development Bank (SPDB).
Nel 2019 ha acquisito la banca d'investimento nel settore sanitario Leerink Partners.
Nel 2020 ha acquisito l'attività di investimento del debito di WestRiver Group.
Nel 2021 SVB ha acquisito la società di ricerca azionaria MoffettNathanson e Boston Private, un fornitore di servizi di gestione patrimoniale, fiduciaria e bancaria.
Nel 2021 SVB lancia anche Nasdaq Private Market con Nasdaq, Citi, Goldman Sachs e Morgan Stanley.
Con oltre 6.500 dipendenti, la Silicon Valley Bank è considerata una delle più grandi banche degli Stati Uniti. Secondo Forbes, SVB Financial Group è una delle più grandi aziende pubbliche del mondo.
SVB Financial Group forniva servizi finanziari diversificati attraverso le sue attività principali:
Silicon Valley Bank - Commercial Banking;
SVB Private - Private Banking & Wealth Advisory;
SVB Securities - Investment Banking;
SVB Capital - Investimenti in capitale di rischio.
Nel 2012 approda in Europa, aprendo i suoi uffici a Londra: “Arriva una bella iniezione di fiducia e fondi per le start up europee: con la nascita della prima Silicon Valley Bank del continente, i gruppi attivi nel settore delle bioscienze e delle tecnologie riceveranno una bella spinta. La banca (SVB) – nota per la sua esperienza e acume nell’universo hi-tech – ha messo le sue radici a Londra. Dalla capitale inglese la sua filiale concedera’ alle societa’ tecnologiche europee prestiti tra 300 mila e 30 milioni di sterline”.
Fino a che non ha aperto i battenti nella city londinese, la SVB era attiva solo negli Stati Uniti e in Israele e vantava clienti del calibro di Cisco Systems, Mozilla e Pinterest.
L’attività della SVB si è incentrata su finanziamenti a start up del mercato tecnologico che avevano difficoltà a reperire capitale, e oltre alle normali attività bancarie, gestiva divisioni di capitale di rischio e private equity e aveva chiaramente interessi anche nelle banche commerciali.
Come giustamente scriveva Fortune nel 2012, “in un'epoca di mercati finanziari "too big to fail", la Silicon Valley Bank è relativamente piccola e specializzata, con una base di clienti dominata da aziende tecnologiche e biotecnologiche in crescita, oltre che da produttori di vino di alto livello”.
A differenza di molte banche, negli anni precedenti la crisi del 2008 la Silicon Valley Bank ha avuto un'esposizione limitata al mercato immobiliare . Questo è uno dei motivi per cui il suo portafoglio di prestiti è cresciuto bene uscendo dalla recessione globale di quel periodo.
"Conoscono molto bene le aziende sostenute da venture", affermava Sam Blackman, CEO di Elemental Technologies, un'azienda dell'Oregon che sviluppa software per la distribuzione di video e che conserva il suo capitale di rischio presso la Silicon Valley Bank. "La maggior parte delle grandi banche non ha idea di come valutare il capitale intellettuale".
Il fatto che la Silicon Valley Bank si sia concentrata sul mercato volatile delle startup avrebbe anche potuto essere un ostacolo, come si è visto nel 2009, quando le perdite sui prestiti hanno raggiunto la preoccupante percentuale del 2,6% di tutti i prestiti. Ma con uffici nella maggior parte dei cluster tecnologici statunitensi e in mercati esteri come l'India e la Cina, la banca è riuscita a superare i suoi concorrenti più solidi.
Vero è che SVB a fine 2008 aveva ricevuto un investimento di 235 milioni di dollari dal Tesoro degli Stati Uniti attraverso il Troubled Asset Relief Program, ma è altrettanto vero che il gruppo dopo neanche un anno aveva non solo versato lauti dividendi al Tesoro, ma anche riacquistato tutte le sue azioni e i warrant in circolazione detenuti dal governo.
La crisi del 2008 del sistema bancario statunitense che travolse quello mondiale, con conseguenze pesanti in quello europeo, vide al suo apice il crollo di Lehman Brothers e l’avvio del programma TARP (Troubled Asset Relief Program) statunitense, con il quale il Dipartimento del Tesoro statunitense potè acquistare fino ad un massimo di 700 miliardi di dollari di attivi, costituiti da mutui sub-prime e dai titoli derivanti dalla loro cartolarizzazione, purché emessi prima del 14 marzo 2008. L’obiettivo immediato del programma è stato quello di permettere a banche ed altri operatori finanziari di produrre liquidità da attivi assolutamente illiquidi, consentendo al settore finanziario di stabilizzare i propri bilanci ed evitare ulteriori perdite future. (consiglio di rivedere il film Too big to fail per comprendere cosa è successo in quel frangente, lo potete trovare a questo link)
Comprendere la differenza tra Lehman Brothers e SVB è fondamentale, specie considerando che, in tempi più recenti, in molti, Paulson compreso, hanno ritenuto un errore lasciar fallire il colosso bancario. Solo due giorni prima della dichiarazione del fallimento, infatti, Lehman aveva comunicato al mercato che il suo capitale alla fine di agosto era di 28 miliardi di dollari. Nei nove mesi precedenti la banca aveva registrato perdite per 6 miliardi, ma aveva anche raccolto attraverso aumenti di capitale ben 10 miliardi di dollari. Il che significava che aveva più patrimonio dell’anno precedente.
Sulla carta Lehman, come è stato rilevato dalla commissione di inchiesta (Financial crisis inquiry commission), sembrava non aver problemi di capitale, ma in realtà il problema non è stato quello ma la mancata fiducia nella dichiarata situazione patrimoniale, tanto che prima fra tutti la Federal Reserve, la banca centrale americana, non volle fare affidamento sui numeri dei libri contabili: “Il capitale iscritto a bilancio non è così rilevante, se tu stai subendo una fuga di massa”, aveva messo nero su bianco, in una nota interna, un dirigente della Fed di New York.
Oltre alla deregolamentazione di Wall Street, avvenuta negli anni 2000 sotto la presidenza di Bush, che consentì de facto alle banche di compiere azioni fortemente speculative senza preoccuparsi della propria capitalizzazione, ed oltre al fatto che in quegli anni la Fed, per combattere l’inflazione, optò per una politica di sostanziale azzeramento dei tassi inondando il mercato di denaro fittizio e riducendo i guadagni per i banchieri costretti a prestare con interessi contenuti e quindi “indotti” a scommettere in operazioni molto rischiose ma che consentivano forti guadagni, il problema per la Lehman, che a bilancio aveva ingenti assets spazzatura come tutte le grandi banche di Wall Street, iniziò proprio con la “fuga di massa” indicata nella nota del dirigente della Fed.
Quando gli hedge fund e le banche d’affari ritengono che gli asset di una banca valgano meno del valore iscritto a bilancio, escono dall’investimento, chiedono più garanzie e tagliano i prestiti. Lehman stava affrontando questo processo, una fuga l’avrebbe lasciata senza liquidità e finanziamenti, sarebbe stata costretta a vendere i suoi asset per far fronte ai debiti a prezzi di saldo, e quel capitale, per le svalutazioni da iscrivere a bilancio, sarebbe sparito nel giro di una notte.
Ma tutto questo, il deterioramento del patrimonio e del portafoglio di Lehman, accadde in mesi, se non in anni. Il detonatore fu la Fed stessa, quando a partire dal 2004 iniziò ad alzare i tassi in modo consistente fino ad arrivare a far scoppiare la bolla immobiliare, creando quella che ai più è conosciuta come la crisi dei mutui subprime. Nel 2007 le bancarotte dei finanziatori cosiddetti subprime (chi presta ad un tasso di interesse più alto di quelli stabiliti dal mercato a soggetti che a causa del basso reddito non offrono sufficienti garanzie di restituzione del capitale) erano all’ordine del giorno. Il crollo del mercato finanziario era nell’aria da tempo: nel 2005 il proprietario di un hedge fund, Michael Burry - la cui storia è stata raccontata nel capolavoro cinematografico “La grande scommessa” - aveva compreso che il mercato immobiliare statunitense era instabile perchè basato sui mutui subprime e aveva stabilito il default nel secondo trimestre del 2007. Aveva sbagliato di qualche mese, ma era tutto assolutamente scritto.
Lehman non fu la prima banca caduta, fu l’ultima. La prima banca a crollare fu la più piccola delle cinque grandi banche d’affari di Wall Street: Bear Stearns, acquisita per due dollari ad azione da Morgan Stanley, con il governo americano che garantì i debiti della banca per facilitare l’acquisizione ed evitare un fallimento che avrebbe ulteriormente peggiorato il clima di sfiducia.
Il cerino restò in mano a Lehman Brothers, con i libri contabili pieni di titoli tossici. La politica non volle intervenire: per i Democratici avrebbe significato salvare gente ricchissima con i soldi dei contribuenti, mentre per i Repubblicani un altro salvataggio sarebbe stata una seconda e intollerabile intromissione dello stato nei meccanismi dell’economia.
L’amministratore delegato di Lehman Brothers, Richard Fuld, ha sostenuto davanti alla Commissione che la sua banca era solvente: “Non c’era nessun buco in Lehman, avevamo 28 miliardi di dollari di capitale”. Ma per il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, la situazione era diversa: “Io credo che Lehman avesse un buco di bilancio”. Dello stesso parere il presidente della Federal Reserve di New York, Timothy Geithner, il segretario del Tesoro, Henry Paulson, e il presidente della Sec, l’Autorità che vigila sui mercati Usa, Christopher Cox. La sorte di Lehman era segnata.
A questo punto, torniamo al caso SVB. I media ci stanno unanimemente raccontando come la banca sia fallita poichè si è trovata a corto di capitale in seguito a perdite da quasi 2 miliardi di dollari riportate sui suoi investimenti, soprattutto titoli di Stato statunitensi che hanno gradualmente perso valore dopo l’avvio dei rialzi dei tassi da parte della Federal Reserve iniziato nel marzo 2022. Una similitudine con il caso Lehman, che come abbiamo visto ha iniziato a deteriorarsi proprio a partire dall’aumento dei tassi deciso dalla Fed. Ma i tempi per SVB sono ben più brevi, e questo è molto sospetto.
La Fdic ha stabilito che SVB ha circa 212 miliardi di dollari in asset e 175,4 miliardi in depositi (dei quali circa 151 non assicurati): Lehman ne aveva tre volte tanto (640 miliardi di asset in totale).
SVB è (era) comunque la 18° banca più grande degli Stati Uniti ed è stata a lungo indicata come la banca del settore delle start-up statunitensi e non solo grazie alla sua specializzazione e propensione per queste società.
E’ plausibile che in sole 24 ore sia arrivata all’insolvenza?
Secondo il Dipartimento per la Protezione Finanziaria e l'Innovazione della California poco dopo che la Banca aveva annunciato una perdita di circa 1,8 miliardi di dollari da una vendita di investimenti e mentre stava conducendo un aumento di capitale, evidentemente fallito, nonostante la banca fosse in solide condizioni finanziarie prima del 9 marzo 2023, "investitori e depositanti hanno reagito avviando prelievi di $ 42 miliardi di depositi dalla Banca il 9 marzo 2023, provocando un bank run" con il risultato che si è avuto un effetto a catena che ha portato la banca ad avere un saldo di cassa negativo di circa 958 milioni di dollari alla chiusura del 9 marzo.
A questo punto, scrive Zero Hedge, nonostante i tentativi della Banca, con l'assistenza delle autorità di regolamentazione, "di trasferire garanzie da varie fonti, la Banca non ha rispettato la sua lettera di cassa con la Federal Reserve. Il precipitoso ritiro dei depositi ha reso la Banca incapace di pagare le proprie obbligazioni alla scadenza, e la banca è ora insolvente".
Il 31 dicembre 2022 SVB aveva 173 miliardi di dollari in depositi, in poche ore una inconsulta corsa agli sportelli ha fatto crollare di un quarto dei finanziamenti della banca.
L’essere legata a circa la metà di tutte le società statunitensi di tecnologia e scienze della vita sostenute da venture capital, come scriveva il Financial Times a fine febbraio 2023, è certamente stato un grande campanello d’allarme nel momento in cui le start-up tecnologiche stanno affrontando il più grande crollo del loro valore da quando è scoppiata la bolla delle dotcom nei primi anni 2000. La capitalizzazione di mercato di SVB è scesa da un picco di oltre 44 miliardi di dollari meno di due anni fa ai 17 miliardi di dollari odierni.
Ma il core business di SVB è incentrato sui depositi bancari di liquidità raccolti dalle start-up tecnologiche e sui prestiti alle società di capitale di rischio e di private equity che li sostengono. Al culmine del boom degli investimenti tecnologici nel 2021, i depositi dei clienti sono aumentati da $ 102 miliardi a $ 189 miliardi, lasciando la banca inondata di "liquidità in eccesso".
A quel tempo, la banca ha accumulato gran parte dei depositi dei suoi clienti in titoli garantiti da ipoteca a lunga scadenza emessi da agenzie governative statunitensi, bloccando di fatto metà delle sue attività per il prossimo decennio in investimenti sicuri che guadagnano, per gli standard odierni, poco reddito.
SVB , riporta il Financial Times, grazie al suo portafoglio clienti consistente nelle aziende tecnologiche della California, è cresciuta rapidamente insieme a quelle industrie per anni.
I depositi (linea blu scuro) sono aumentati in modo rapidissimo. I clienti principali di SVB, le start-up tecnologiche, avevano bisogno di un posto dove mettere il denaro che i venture capitalist stavano versando loro. Ma SVB non aveva la capacità, o forse l'inclinazione, di fare prestiti (linea blu) al ritmo dei depositi. Così ha investito i fondi (linea rosa), soprattutto in titoli di debito a lungo termine, a tasso fisso e garantiti dallo Stato, rendendosi doppiamente sensibile all’aumento dei tassi di interesse, sia riducendo il valore dei titoli di debito a lungo termine, sia decretando una minore offerta di fondi di deposito a basso costo.
Il problema principale è la redditività. Le imprese sono molto sensibili ai prezzi dei loro depositi. Quando i tassi aumentano, le imprese si aspettano che i loro depositi rendano di più e sposteranno i loro soldi se ciò non accade.
Il rendimento delle attività di SVB è ancorato al livello dei titoli di Stato a lungo termine acquistati quando i tassi erano bassi; nel frattempo, il suo costo di finanziamento sta aumentando rapidamente. Nel quarto trimestre, il costo dei depositi è aumentato del 2,33%, rispetto allo 0,14% dell'ultimo trimestre del 2021. È un dato negativo ma non letale: le attività fruttifere della società hanno reso il 3,36% nel quarto trimestre, dall'1,99%, con uno spread in calo ma ancora positivo. Ma i costi dei depositi continueranno a crescere con l'aumento dei depositi, anche in assenza di ulteriori aumenti dei tassi.
Ecco perché SVB ha venduto 21 miliardi di dollari di obbligazioni. Aveva bisogno di reinvestire i fondi in titoli a più breve scadenza, per aumentare il rendimento e rendere il proprio bilancio più flessibile in caso di ulteriori aumenti dei tassi.
Per questo SVB è stata esposta all’aumento dei tassi, ma. Laddove il portafoglio si è svalutato a causa dell’aumento dei tassi, le perdite non si concretizzano se la banca ha la forza di mantenere il proprio portafoglio fino a scadenza, e chi ha un “eccesso di liquidità” non dovrebbe avere problemi nel farlo.
Due le domande che bisognerebbe porsi. La prima, perchè la Fed non è intervenuta: se fosse stata una crisi di liquidità, avrebbe dovuto farlo. La seconda, la corsa agli sportelli è stata innescata dal tentativo di aumento di capitale della banca – che ha fatto seguito a una modesta perdita di 1,8 miliardi di dollari quando la banca ha svenduto le sue partecipazioni per aumentare la propria liquidità – o è stata il risultato di un’influenza esterna?
Per rispondere alla prima domanda, è rilevante l’immediato intervento della segretaria al Tesoro statunitense, Janet Yellen, ha detto che sta "monitorando con attenzione" la situazione della Silicon Valley Bank e di "qualche altra banca". Verrebbe da chiedersi che caratteristica hanno le “altre banche” monitorate in questo momento, se siano tutte strutturate come la SVB e soprattutto così legate al mondo tecnologico e del “green deal”. E bisognerebbe anche domandarsi quali conseguenze pagheranno le start up tecnologiche, a favore delle aziende dello stesso settore già ampiamente consolidate.
Ad ogni modo, in una dichiarazione, la Yellen ha affermato che il sistema bancario statunitense "rimane resistente" e che le autorità di regolamentazione "dispongono di strumenti efficaci" per affrontare le conseguenze.
Il governo, secondo Bloomberg, sta valutando se può vendere SVB, o parti di essa, entro lunedì, il giorno in cui i clienti potranno recarsi in banca e iniziare a prelevare il resto del loro denaro.
A differenza delle gigantesche banche che hanno innescato una crisi globale nel 2008, SVB era fortemente dipendente da un singolo settore rischioso dell'economia sia per i suoi depositanti che per i suoi clienti. Quella scommessa concentrata si è rivelata una pessima notizia per le ambiziose start-up che dominano il mondo dell'alta tecnologia. Ma significa che la banca tecnologica non aveva i sofisticati intrecci finanziari con altre istituzioni che possono trasformare le perdite di una banca in una minaccia per l'intero settore.
Molti clienti di SVB sono persone influenti, e sembra stiano facendo pressioni non indifferenti per ottenere un trattamento speciale… non tutti sono riusciti a scappare in tempo.
E in molti si stanno già chiedendo perchè il governo non sia intervenuto prima, considerando che tantissime aziende clienti di SBV già nelle prossime ore avranno problemi persino nel pagare gli stipendi.
Già la prossima settimana migliaia delle aziende in più rapida crescita e più innovative sostenute da venture negli Stati Uniti cominceranno a non riuscire a pagare gli stipendi. Se il governo fosse intervenuto venerdì per garantire i depositi di SVB (in cambio di warrant da un centesimo che avrebbero cancellato la maggior parte del suo valore azionario) si sarebbe potuto evitare tutto questo e il valore quarantennale del franchising di SVB avrebbe potuto essere preservato e trasferito a un nuovo proprietario in cambio di un'iniezione di capitale. Saremmo stati disposti a partecipare. Questo approccio avrebbe ridotto al minimo il rischio di eventuali perdite pubbliche e creato il potenziale per sostanziali profitti dal salvataggio.
Lo Stato ha preso possesso della banca e ha nominato la Federal Deposit Insurance Corp. come curatore fallimentare per liquidarla. Il problema forse è voler intervenire sulle ipervalutazioni del settore tecnologico colpendo la sua primaria banca specializzata? Un modo per sgonfiare una bolla che stava per scoppiare facendola pagare a chi aveva speculato di più?
Ipotesi che possono restare tranquillamente sul tavolo al pari della narrativa raccontata del problema del portafoglio svalutato dall’aumento dei tassi di interesse e che non sono neanche poco verosimili. La Silicon Valley Bank non ha concesso prestiti, ma ha regalato ai finanziatori vantaggi folli con mutui economici e liquidità a condizione che mantenessero i loro depositi in banca. E, tra l’altro, qualunque banca diventerebbe insolvente se perdesse il 25% dei suoi depositi in un giorno. Lasciamo le favole alle letture della buonanotte.
La seconda domanda.
La SVB non aveva problemi di liquidità, bensì, come spiegato, si è trovata improvvisamente in situazione di insolvenza a causa del bank run che ha subito. Difficile non pensare ad un attacco mirato, in special modo se si osserva chi ha fatto partire il panico da corsa allo sportello e le dichiarazioni che sono seguite dopo il fallimento.
La prima voce che ha consigliato alle startup di ritirare i loro soldi dalla SVB è stato il Founders Fund di Peter Thiel, colui che ha creato Paypal con Elon Musk. Thiel ha accumulato un’enorme ricchezza speculando con successo su alcune aziende tecnologiche (Facebook, Paypal, Airbnb, Spotify, LinkedIn, Palantir Technologies – una società legata alla CIA – e SpaceX): un’opinione certamente di peso e destinata a generare importanti conseguenze.
Ebbene, Founders Fund ha chiesto alle sue società in portafoglio di spostare i propri soldi fuori da SVB, ma vi è di più: il Founders Fund di Peter Thiel ha prelevato i suoi soldi dalla Silicon Valley Bank prima che fosse chiusa.
Si pensa che il Founders Fund di Thiel abbia sostenuto diverse startup che hanno avuto rapporti con SVB, che ha fornito servizi bancari a quasi la metà di tutte le startup statunitensi sostenute da venture capital, secondo il suo sito web .
Bloomberg ha riferito che i fondi VC Coatue Management, Union Square Ventures e Founder Collective avevano tutti detto alle loro società in portafoglio di ritirare i loro fondi da SVB.
Ma un altro nome importante ci ha messo lo zampino: JP Morgan Chase, che ha cercato giovedì scorso di convincere alcuni importanti clienti della SVB a trasferire i loro fondi nella loro banca, decantando la sicurezza dei loro beni.
Come scrive in proposito Zero Hedge, “la più grande banca commerciale statunitense sollecitava attivamente i clienti di uno dei suoi più grandi concorrenti e della sedicesima banca statunitense, ben sapendo che la fuga dei depositi avrebbe quasi certamente portato al collasso di una banca che, per gentile concessione delle banche a riserva frazionaria, disponeva solo di una modesta liquidità per soddisfare le richieste di depositi: certamente non sufficiente a soddisfare 42 miliardi di dollari di deflussi di depositi”.
Per molti potrebbe sembrare un controsenso, visto che JP Morgan è uno dei maggiori azionisti di SVB, ma fermatevi a pensare a come in una sola giornata si è assicurata il passaggio di assets positivi, ottenendo un’incredibile iniezione di liquidità senza alcun rischio. A volte basta guardare da un’ottica diversa per avere uno scenario completamente opposto a quello che ci viene mostrato.
Sarà sicuramente una coincidenza che le quotazioni della banca d’affari fossero in trend negativo, subito invertito il 09 marzo dopo aver suggerito di spostare i fondi da SVB a loro:
Si sono quindi concretizzate le dinamiche che hanno portato alla corsa agli sportelli in cui i clienti si presentano tutti insieme a ritirare i loro depositi e la banca si trova rapidamente senza denaro per soddisfare tutte le richieste. E a nulla è valsa la richiesta del CEO di SVB di mantenere la calma: repetita iuvant, in un solo giorno SVB ha dovuto ripagare un quarto dei suoi depositi.
Il dubbio che sia un’operazione creata a tavolino arriva anche dalle reazioni immediate e perfettamente organizzate che nel caso di Lehman non si sono mai viste.
In primo luogo, arriva ieri la comunicazione ufficiale, dopo solo 24 ore dal fallimento dichiarato, che la Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC) ha dichiarato a un gruppo di investitori che l'ente regolatore è già riuscito a realizzare la metà degli asset della Silicon Valley Bank (SVB). Secondo questa stima, i correntisti riceveranno i loro depositi assicurati, fino a 250.000 dollari, lunedì e nel corso della settimana riceveranno anche almeno la metà dei loro depositi totali nella banca. I clienti che hanno crediti presso la SVB potranno compensare il deposito con il debito e quindi minimizzare il danno.
In secondo luogo, i fondi di venture capital israeliani , a seguito di discussioni d’emergenza per formulare misure per aiutare le startup israeliane che non possono prelevare denaro dai loro conti bancari, hanno ricevuto immediata garanzia da parte di fondi negli Stati Uniti di supporto, emergendo tra l’altro il fatto che, per qualche incomprensibile motivo, le aziende israeliane siano riuscite a prelevare più denaro rispetto alle loro controparti americane.
In terzo luogo, con incredibile prontezza reattiva, gli speculatori Jefferies di Wall Street propongono di acquistare i crediti dei depositanti della Silicon Valley Bank a 70 centesimi sul dollaro; si muove anche la Bank of England che, grazie ad una consulenza Rothschild & Co che sta esplorando le opzioni per SVB UK mentre l'insolvenza incombe, coinvolge il governo inglese che si vede presentata da 250 amministratori delegati di società tecnologiche britanniche una lettera indirizzata chiedendone l'intervento.
In modo assolutamente prevedibile a chi riesce ad avere un’ottica più ampia rispetto a quella che vorrebbero imporci i media, arriva anche Elon Musk, che prontamente si dichiara “aperto all’idea” di acquistare la Silicon Valley Bank, in risposta ad un utente che si era detto convinto che Twitter dovrebbe rilevare la SVB e diventare una banca digitale.
Elon salvatore delle banche, esattamente come è già stato eretto salvatore della libertà di parola (provate a chiedergli di Peter Thiel e otterrete in cambio il ban a vita, ma si sa, non è colpa sua, sono i bot di Twitter non ancora aggiornati…). E in pochi arriveranno a ricordarsi che proprio Musk, alla vigilia dell’acquisizione di Twitter, aveva apertamente parlato del suo progetto di lanciare un’app omnicomprensiva sulla falsariga della cinese WeChat, comprendente un'identificazione digitale che autorizzerebbe pagamenti e transazioni, un modello basato su abbonamento rispetto a uno dipendente dagli annunci, funzionalità di pagamento integrate e servizi integrati ad alto coinvolgimento (commercio, ride sharing, viaggi e ospitalità, ecc.)
Mancava una banca digitale, il crollo di SVB ha una tempistica eccezionale. Ma nel caso di Musk sembrano tutte relegate a semplici coincidenze. Del resto, se si crede che SVB sia “fallita” a causa della propria “insolvenza” immediatamente dichiarata dai regolatori di mercato, si può credere anche a questo.
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ottimo articolo cmq, grazie