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Svizzera: Riesportazione armi, tutto come prima

Il Consiglio degli Stati ha respinto la mozione che chiedeva di allentare le regole per l’export di armamenti acquistati in Svizzera
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Bocciata dal Consiglio degli Stati la mozione che voleva dare una risposta alla richiesta di vari Stati europei - come la Germania la Danimarca o la Spagna - di poter riesportare verso l'Ucraina materiale bellico acquistato in Svizzera. La legge sul materiale bellico non va dunque modificata. E questo nemmeno per consentire a Paesi che condividono i nostri valori di riesportare materiale bellico elvetico verso paesi aggrediti come l'Ucraina.

E’ interessante notare come ogni notizia di presunto abbandono della neutralità della Svizzera a favore di un sostegno attivo verso l’Ucraina venga immediatamente ripresa dai media, mentre l’ultima votazione del Consiglio degli Stati svizzero sia passata completamente in sordina.

Poco più di un giorno fa, infatti, il Consiglio degli Stati ha respinto una mozione che intendeva edulcorare le attuali disposizioni circa la cessione di armi all'estero, consentendo a chi ha acquistato materiale bellico elvetico di riesportarlo verso paesi aggrediti come l'Ucraina.

Il Consiglio degli Stati, appellandosi alla necessità di preservare la credibilità della Svizzera e la sua neutralità, ha respinto - 23 voti a 18 e 2 astenuti - una mozione del "senatore" Thierry Burkart (PLR) che si proponeva di allentare le maglie circa la cessione di armi all'estero.

Una questione di solidarietà

Attualmente, un'autorizzazione di esportazione di materiale bellico può essere concessa soltanto se lo Stato in questione ha firmato una dichiarazione che attesta che il materiale non sarà riesportato (dichiarazione di non riesportazione). Ciò per evitare che armi elvetiche vengano utilizzate in conflitti armati o finiscano in mano a terroristi.

Stando a Burkart un allentamento non sarebbe stato in contrasto al diritto della neutralità e soprattutto avrebbe consentito alla Svizzera di non avere danni dalla minaccia degli stati esteri di rivolgersi altrove per rifornirsi di armi in caso di diniego alla riesportazione. La mozione, ha spiegato Burkart nel dibattito, sarebbe servita anche a preservare l’industria eveltica e, di riflesso, a rendere credibile la sua neutralità armata. Non è ovviamente mancato il riferimento alla guerra in Ucraina: Burkart ha sottolineato come la guerra dimostra quanto sia stretta la cooperazione militare tra i Paesi che condividono i nostri valori, tra cui figura il rispetto del diritto internazionale violato gravemente dalla Russia.

"Se neghiamo loro il diritto di trasferirsi reciprocamente le armi e i sistemi d'arma acquistati in Svizzera, ostacoliamo i loro sforzi in materia di sicurezza, di cui beneficiamo anche noi"

Una questione di credibilità

Ma per gli avversari della mozione, qualora la Svizzera dovesse modificare nel corso di una guerra le proprie leggi per concedere a un gruppo di Stati "scelti" il diritto di riesportare le proprie armi perderebbe agli occhi del mondo la propria credibilità e strapazzerebbe quella neutralità che in passato li ha protetti più volte da conflitti sanguinosi.

Che lo si voglia o no, hanno indicato all'unisono Marco Chiesa (UDC) e Daniel Jositsch (PS), anche se un solo colpo venisse fabbricato in Svizzera venisse sparato contro la Russia verremmo subito collocati nel campo degli avversari di questo Paese. La Svizzera, ha sottolineato il presidente dell'UDC Chiesa, può rendersi utile in questa guerra in altri modi, mediante l'aiuto umanitario o costruendo ponti tra i contendenti come è nella nostra tradizione.

La Svizzera, "è uno stato di diritto: non siamo banderuole che cambiano direzione a seconda di dove tira il vento", ha affermato Marco Chiesa

Nessun margine di manovra

Nella sua replica, il consigliere federale Guy Parmelin, da cui dipende l'export di armamenti, ha ribadito la condanna della Svizzera dell'aggressione russa, ma ricordato che il Consiglio federale ha le mani legate: la neutralità e la legge sul materiale bellico impediscono di fare quanto la mozione chiede.

La Svizzera, qualora dovesse applicare la mozione, prenderebbe partito per una parte in causa nel conflitto, ciò che è contrario alla neutralità ha sottolineato il "ministro". Inoltre, una completa rinuncia alla dichiarazione di non riesportazione comporta un rischio: il materiale bellico svizzero potrebbe arrivare attraverso Stati "virtuosi" - ossia Stati che hanno una legislazione sulle armi simile alla Svizzera - a Paesi che non soddisfano i criteri di autorizzazione della Confederazione. È il caso, stando a un esempio fatto in aula, di ipotetiche armi elvetiche vendute alla Gran Bretagna per poi essere cedute da quest'ultima all'Arabia Saudita o a altri Stati coinvolti in conflitti armati.

Parmelin ha anche ricordato che il giro di vite sull'export di armi è entrato in vigore pochi anni fa in risposta ad una iniziativa popolare - detta "correttiva" - che voleva di fatto impedire alla Confederazione di vendere armi all'estero. Una modifica della legge come chiesto dalla mozione sarebbe in contrasto con lo spirito del controprogetto governativo all'iniziativa e, in riflesso, con la volontà popolare.

© Riproduzione riservata

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